L’Ucraina “è un Paese povero, corrotto e armato fino ai denti”. Kyiv “la madre delle città russe”. La Crimea “ritornata alla Russia” dopo un referendum. E la cultura dell’Europa dell’Est? Tutta russa. È questa l’immagine che emerge sfogliando 28 manuali scolastici adottati nelle scuole medie italiane. Lo denuncia il nuovo studio dell’Istituto Gino Germani di Roma, firmato da Massimiliano Di Pasquale e Iryna Kashchey. Ma dopo l’inchiesta dell’Adnkronos, a marzo 2024, è seguita un’indagine minuziosa, condotta su libri pubblicati tra il 2010 e il 2024, dai principali editori italiani del settore. E il risultato, spiega Di Pasquale in un colloquio, “è sconfortante”.
“Non siamo davanti a casi isolati”, chiarisce Di Pasquale, direttore dell’Osservatorio Ucraina dell’Istituto Germani. “Abbiamo analizzato un campione estremamente significativo, confrontando i titoli più diffusi con i dati pubblici del Ministero dell’Istruzione. Molti di questi libri, anche se pubblicati anni fa, sono ancora in uso, adottati o riciclati nei banchi delle scuole”.
Sette narrazioni strategiche, tutte filo-Cremlino
Il cuore dell’indagine è l’individuazione di sette narrazioni ricorrenti che coincidono, punto per punto, con la propaganda russa. La più diffusa? “L’Ucraina come Stato fallito”, spiega Di Pasquale. “In molti testi viene descritta come povera, arretrata, corrotta, nata quasi per caso dalla dissoluzione dell’URSS. In un paio di manuali viene indicata addirittura come potenza industriale bellica prima dell’invasione su larga scala del 2022. Se unisci questi elementi, il ritratto che emerge è quello dell’Ucraina come Paese nazionalista, corrotto e armato: la classica narrativa usata da Mosca per giustificare l’invasione”.
Altro punto chiave è la distorsione storica: “In molti testi si presenta la Rus’ di Kyiv come la culla della Russia, un’affermazione tipica della retorica imperiale putiniana che serve a negare l’identità nazionale ucraina. La verità storica è che Mosca, all’epoca, neppure esisteva”.
La Crimea? “Un ritorno alla Russia”
Tra le pagine più gravi, Di Pasquale cita il caso del manuale Vivi la geografia di Zanichelli: “Alla pagina 201 si afferma che la Russia, nel nuovo millennio, ha riacquisito importanza politica grazie all’intervento in Ucraina e all’annessione della Crimea. È un’affermazione che, seppure preceduta da una nota sull’assenza di riconoscimento internazionale, legittima un atto di aggressione militare, mettendolo sullo stesso piano dell’intervento in Siria. È come se si elogiasse l’aggressività russa come forma di autorevolezza internazionale”.
Anche altri manuali – come Now! 2 (DeA Scuola) – arrivano a presentare i territori occupati nel Donbas come “parte integrante della Russia”.
Le omissioni che parlano
Se le narrazioni sono inquietanti, le omissioni lo sono altrettanto. Quasi nessun libro menziona l’Holodomor – la carestia pianificata da Stalin che causò la morte di milioni di ucraini, e non solo. “E quando si parla di Stalin”, denuncia Di Pasquale, “si dice che era un dittatore, certo, ma che avrebbe fatto bene in campo economico. È inaccettabile”. Ci sono poi tratti paradossali: il disastro nucleare di Chernobyl viene descritto come “catastrofe ucraina”, quando lo stato indipendente non esisteva e la centrale era sotto controllo russo. “La categoria del ‘nazionale’ viene usata solo per gli eventi negativi”, osserva Di Pasquale, “mentre i successi sono sempre ‘sovietici’. È un’impostazione ideologica, che cancella le identità non russe”.
Russificazione, non russofonia
Uno dei punti su cui l’autore insiste è il concetto di “russofonia”, spesso presentato nei manuali come tratto culturale neutro, di una fetta di popolazione che ha liberamente scelto di usare il russo nella vita di tutti i giorni. “È assurdo parlare di russofonia senza parlare della russificazione forzata”, spiega Di Pasquale. “Nei Paesi dell’Urss la cultura nazionale era repressa. Gli intellettuali che scrivevano in ucraino rischiavano l’espulsione o la prigione. Krusciov aveva permesso di scegliere l’ucraino nella scuola primaria ma era una finta mossa democratica: nessun genitore la esercitava visto che l’istruzione universitaria, la formazione tecnica e professionale erano tutte impartite in russo. I cittadini della Repubblica Sovietica Ucraina avevano solo due scelte: passare al russo oppure abbandonare l’idea di laurearsi. Non si può ignorare questo dato”.
Errori, sciatterie, cancellazioni
Oltre alle distorsioni storiche, lo studio denuncia anche “una sciatteria grave”, con errori fattuali evidenti: “Kharkiv collocata nel Donbas, scritta alla russa come Kharkov; Odessa indicata come se fosse in Crimea. O ancora c’è un gioco in cui gli studenti devono pianificare una gita attraverso nove città russe. Beh, tre sono davvero russe, mentre le altre sono ucraine e dei Paesi baltici, come se appartenessero tutte a un’unica ‘regione russa’. Sono cose che restano nella memoria dei ragazzi”.
Anche nella cultura, il quadro è fosco: “Nei capitoli sull’Europa dell’Est si parla solo di autori russi, nessun accenno a Milan Kundera, nessuna menzione del poeta nazionale ucraino Taras Shevchenko, mentre personaggi nati a Kyiv da famiglie polacche vengono rubricati come russi”.
Le conclusioni: un problema culturale, non solo editoriale
Secondo Di Pasquale, il problema va ben oltre gli errori editoriali: “Non penso che ci sia una regia occulta. Il problema è che molti di questi contenuti sono perfettamente coerenti con una cultura accademica e geopolitica che da decenni glorifica l’immagine della Russia e minimizza quella degli altri Paesi post-sovietici. È un soft power ben radicato, che passa anche attraverso l’editoria scolastica”.
E conclude: “Serve uno sforzo culturale, non ideologico. Bisogna insegnare a usare la testa, a riconoscere tutte le forme di totalitarismo. In Italia si parla solo di nazismo. Del patto Molotov-Ribbentrop non si fa mai menzione. La cultura democratica si difende anche così”. (di Giorgio Rutelli)