L’emergenza del sovraffollamento delle carceri italiane al centro della lettera inviata al ministro della Giustizia Carlo Nordio da parte di Gianni Alemanno, già sindaco di Roma, e Fabio Falbo, lo ‘scrivano’ del braccio G8, detenuti nel carcere di Rebibbia. “Le stiamo scrivendo perché vogliamo sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sull’attuale situazione carceraria, che a noi, e non solo a noi, appare insostenibile e contraria ai dettati costituzionali”, esordisce la lettera. La situazione carceraria attuale “è emergenziale, e come tale comporta il ricorso a parametri valutativi eccezionali e a interventi immediati, che superano per ampiezza e urgenza il programma di costruzione di nuovi carceri, di moduli prefabbricati e di riutilizzo di edifici demaniali abbandonati”, sottolineano subito Alemanno e Falbo.
“Mai come in questo momento va ricordato come nel nostro sistema processuale il carcere debba costituire l’extrema ratio. Devono quindi essere utilizzate tutte le misure alternative al carcere, che possono alleggerire la pressione delle presenze negli istituti penitenziari non rese obbligatorie dalla legge”, scrivono Alemanno e Falbo che puntualizzano anche sulla mancanza di cure adeguate che possono portare anche alla morte. “Le vogliamo indicare quelle che secondo noi sono le priorità per far fronte al sovraffollamento negli istituti di pena e, in particolare, alla situazione tragica delle morti, dei suicidi, dell’assistenza sanitaria inadeguata, di tutti gli ultrasettantenni in carcere, dell’affettività negata, della mancata scindibilità dei cumuli e dell’accesso limitato al lavoro in aziende private attraverso l’art. 21 Ordinamento penitenziario e del principio di progressività trattamentale”, aggiungono specificando che quanto all’assistenza sanitaria inadeguata ci sono due aspetti da evidenziare: le “gravi inadempienze del Nucleo traduzioni e piantonamenti della Polizia penitenziaria di Roma” causate “dall’esiguità del personale a disposizione, che non riesce a coprire le necessità di servizio”. E poi “le tante certificazioni mediche dell’area sanitaria, che il più delle volte definiscono ‘condizioni generali mediocri’ della persona detenuta le situazioni sanitarie appena sufficienti alla sopravvivenza, omettendo di pronunciarsi in merito alla possibilità di raggiungere un’effettiva guarigione all’interno delle strutture carcerarie”.
Sulla detenzione domiciliare per gli anziani, Alemanno e Falbo fanno notare che gli Uffici di sorveglianza non tengono conto della sentenza n. 56/2021 della Corte costituzionale che ha stabilito che i condannati che hanno più di settant’anni possono beneficiare della detenzione domiciliare. “In realtà qui a Rebibbia sono diversi gli ultraottantenni, anche non recidivi, che continuano a vedersi rigettare le loro richieste di accedere a questa misura”.
In merito al sovraffollamento delle carceri, i due detenuti a Rebibbia evidenziano che “tutte le strutture penitenziarie italiane sono al collasso con tassi di sovraffollamento di oltre il 150%, senza considerare che, come Lei stesso ha rilevato, le persone detenute crescono circa 5 volte di più rispetto all’aumento dei posti in carcere. Nonostante ciò gli Uffici di sorveglianza continuano a rigettare i reclami ex art. 35 ter ordinamento penitenziario per l’applicazione dello sconto del 10% di pena conseguente alla violazione dell’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come risarcimento per le condizioni di detenzione contrarie al senso di umanità. Un intervento legislativo potrebbe rendere automatico questo sconto di pena per tutte le persone detenute recluse in carceri dove si registra un sovraffollamento superiore al 100% dei posti disponibili”.
Anche sui permessi premio, secondo Alemanno e Falbo viene ignorata dalla magistratura di sorveglianza una sentenza della Corte costituzionale (n. 253/1919). Sentenza che “potrebbe essere recepita da una norma di legge tale da risolvere ogni problema interpretativo. Inoltre si potrebbe introdurre per legge un ‘permesso trattamentale’ che superi i limiti di applicazione del ‘permesso premio’ che oggi non può essere concesso a chi ha pene brevi”.
Quanto all’affettività negata, “è urgente che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ripristini un numero adeguato di colloqui telefonici e dia impulso, anche in via sperimentale, alla creazione di spazi dedicati all’affettività nei diversi istituti penitenziari”, si legge nella lettera.
Alemanno e Falbo intervengono poi sui cumuli di pena, l'”accesso limitato” per il lavoro in aziende private e la carcerazione preventiva, che, in quest’ultimo caso, “per comprenderne la gravità dell’abuso basta citare il dato delle 1.180 domande di risarcimento per ingiusta detenzione per un totale di quasi 27,4 milioni di euro pagati dallo Stato italiano”, abuso che “contribuisce in modo rilevante ad aggravare il sovraffollamento delle carceri”. Stesso discorso “può essere fatto anche per il limitatissimo accesso alla detenzione presso il domicilio ex legge 199/2010, nonostante la spesa di diversi milioni di euro per acquistare i cosiddetti ‘braccialetti elettronici’ che rimangono in larga parte inutilizzati”.
“Quando si parla di intervenire contro il sovraffollamento delle carceri si pensa subito a provvedimenti emergenziali come l’indulto e l’amnistia, che sono ovviamente la via più semplice e immediata per ridurre in modo significativo la popolazione carceraria, ma anche provvedimenti meno drastici, come quelli sopradescritti, potrebbero dare un forte contributo in questo senso, riducendo il carico di lavoro e quindi i ritardi e i dinieghi spesso incomprensibili della Magistratura di sorveglianza”, continuano nella lettera Alemanno e Falbo convinti che “un’ulteriore forma di ristoro contro il sovraffollamento carcerario” può essere la liberazione anticipata e in questo senso potrebbe essere valutata la pdl Giachetti.
“Le persone detenute sono un pezzo della società e sono un pezzo vulnerabile della stessa, come tante volte ci ha ricordato il compianto Papa Francesco. Compiere un atto di riconoscimento delle condizioni insostenibili in cui vivono queste persone, non vuol dire cedere ad una tentazione permissiva contraria al principio della certezza della pena. Significa solo compiere una necessaria conciliazione tra questo principio e quello della finalità rieducativa della pena previsto dall’art. 27 della nostra Costituzione”, chiude la lettera.