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“Vorrei essere Papa”, l’ombra di Trump sul Conclave: può influenzare la scelta?

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“Mi piacerebbe essere Papa, sarebbe la mia scelta numero 1”. La battuta di Donald Trump proietta l’ombra della Casa Bianca sul prossimo conclave che eleggerà il successore di papa Francesco. Le parole che Trump affida ai giornalisti nel giardino della Casa Bianca contribuiscono a delineare uno scenario tanto inatteso quanto controverso: il presidente americano può davvero influenzare la scelta del prossimo pontefice? “Non ho preferenze, abbiamo un ottimo cardinale che arriva da un posto chiamato New York, vediamo cosa succede”, dice Trump riferendosi a Timoth Dolan, arcivescovo di New York-

Non è un mistero che una parte significativa dell’episcopato statunitense abbia guardato con crescente insofferenza al pontificato di Bergoglio. La sua apertura verso migranti, clima, sinodalità e inclusione delle donne e omosessuali ha scosso i vertici di una Chiesa americana che, in alcune sue componenti, è diventata negli anni un baluardo culturale e spirituale del trumpismo.

Cardinali come Raymond Leo Burke, già noto per il suo tradizionalismo liturgico e le critiche al papa defunto, ex prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, e Dolan
sono sostenuti da reti ecclesiali, think tank e fondazioni americane che hanno forti legami con ambienti conservatori vicini a Trump. Questi gruppi, spesso definiti “Maga Catholics”, non nascondono la loro ambizione: promuovere un papato più rigido su dottrina morale, bioetica e ordine ecclesiale. Il cardinale Dolan è considerato una figura vicina a Trump e ha avuto un ruolo significativo nelle cerimonie ufficiali legate alla sua presidenza. Dolan, inoltre, ha avuto interazioni personali con Trump in più occasioni.

Altri cardinali statunitensi sono allineati su posizioni più progressiste. L’arcivescovo di Washington, Rbert Walter McElroy, è noto per le sue posizioni di apertura su temi morali e sociali. Ha criticato l’uso dell’Eucaristia come strumento politico e ha sostenuto una Chiesa più inclusiva e orientata verso i poveri e gli emarginati. Papa Francesco lo ha nominato cardinale nel 2022, confermando la sua affinità ideologica con il pontificato attuale. Primo cardinale afroamericano, anche Wilton Daniel Gregory è considerato dalla stampa anti-Trump, così come Blase J. Cupich, arcivescovo di Chicago, sostenitore della sinodalità e della riforma della Chiesa: ha promosso un approccio pastorale inclusivo, affrontando temi come la giustizia sociale, l’immigrazione e i diritti delle donne. Figura di spicco tra i cardinali progressisti americani anche James F. Tobin, arcivescovo di Newark, noto per il suo impegno in favore dei diritti umani e della giustizia sociale. Ha sostenuto le politiche di papa Francesco su temi come l’accoglienza dei migranti e la lotta alla povertà.

Le alleanze in conclave si formano su criteri geografici, culturali e strategici e l’ala conservatrice su cui si estende l’ombra trumpiana – minoritaria ma ben organizzata – punta su profili alternativi: non solo Burke, ma anche figure come Robert Sarah (Guinea) o Péter Erdő (Ungheria), entrambi vicini a sensibilità più tradizionali.

Un papato sensibile ai temi trumpiani avrebbe inevitabili impatti geopolitici: irrigidimento verso la Cina (dove Francesco ha cercato dialogo), un raffreddamento dei rapporti con l’Islam moderato e un possibile riavvicinamento alla destra cristiana europea. Inoltre, potrebbe ridurre l’impegno del Vaticano su temi ‘progressisti’ come l’ecologia integrale o la giustizia migratoria.

Secondo gli osservatori di cose vaticane, l’idea che Trump possa influenzare il conclave non va interpretata in senso letterale, ma come riflesso di una dinamica globale in cui la religione torna a essere campo di battaglia ideologica. Mentre la Chiesa si prepara a scegliere il suo nuovo capo spirituale, l’ombra lunga della politica americana si insinua tra le mura leonine. Non è detto che decida, ma certamente punta a orientare.

(di Paolo Martini)

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