Finalmente qualcosa si muove sul fronte dei tribunali soppressi. Dopo mesi di pressing istituzionale e mobilitazione civica, arriva la convocazione di un incontro cruciale al Ministero della Giustizia. Il ministro Carlo Nordio ha infatti accolto la richiesta avanzata dal Coordinamento per la salvaguardia delle sedi di giustizia, fissando per il 7 maggio un appuntamento che potrebbe segnare una svolta nella vicenda che riguarda la soppressione, entro il 31 dicembre 2025, di diversi presidi giudiziari non provinciali.
Un segnale importante, che dimostra quanto la pressione politica e territoriale – quando è unita e coerente – possa ancora incidere sulle scelte del Governo. A spingere per questo tavolo istituzionale sono stati i sindaci, le toghe, gli avvocati, i parlamentari regionali e, soprattutto, un’azione bipartisan che vede protagonisti in primis i rappresentanti abruzzesi.
Ma dietro questo risultato si cela una questione di fondo: quale visione della giustizia ha davvero questo Governo?
La riforma della geografia giudiziaria, troppo spesso ispirata a logiche meramente ragionieristiche, ha già dimostrato i suoi limiti. Sopprimere i tribunali minori, come quello di Avezzano, Sulmona, Lanciano e Vasto significa negare a intere aree interne – già penalizzate dalla crisi demografica e dai tagli ai servizi pubblici – un accesso diretto ed efficiente alla giustizia. È una scelta che, in nome di una presunta efficienza, finisce per colpire cittadini, avvocati, imprese locali e interi distretti economici.
L’incontro del 7 maggio sarà dunque il banco di prova per il ministro Nordio e per l’intero Esecutivo. Si va verso una proroga tecnica oltre il 1° gennaio 2026? O, meglio ancora, verso la stabilizzazione definitiva dei tribunali non provinciali? Le forze politiche dovranno uscire allo scoperto, assumendosi la responsabilità di scegliere se stare dalla parte dei territori o piegarsi ai diktat di una centralizzazione che sa tanto di disinteresse per le aree periferiche del Paese.
Ora serve un salto di qualità. La politica deve cogliere quest’occasione per trasformare un’emergenza in un’opportunità di riforma vera: non più soppressioni calate dall’alto, ma una giustizia che rispecchi i bisogni reali delle comunità locali.
Non si tratta solo di tribunali, ma di presìdi democratici, luoghi simbolici e concreti di legalità, coesione sociale e cittadinanza attiva.